giovedì 30 maggio 2013

"Euriasmo" di Enrico Letta

L’uscita dalla procedura per deficit eccessivo dell’Italia, esercitata dall'Unione Europea a partire dal 2009, è stata accolta in modo entusiastico dal Presidente del Consiglio, il quale preso da uno slancio nazionalistico ha ringraziato gli italiani per i sacrifici compiuti al fine di raggiungere questo scopo.

Detto che sarebbe interessante poter discutere con Enrico Letta di questo, portando una rappresentanza degli italiani da lui ringraziati a un tavolo di confronto, voglio rilevare come ancora una volta il patriottismo arriva solo per difendere le proprie posizioni (bugie) politiche mentre quando si richiede risolutezza nella ridiscussione dei trattati che stanno visibilmente strangolando il paese di questo “amor di patria” non c’è traccia perché “ce lo chiede l’Europa”, “più Europa, ci vuole più Europa” etc.

L’obbligo di perseguire la strada “euro-peista” (sia ben chiara la distinzione) traccia le dichiarazioni appassionanti del nostro premier, che evidentemente non essendo incompetente e tantomeno stupido in materia è ben conscio della sua menzogna.
La Commissione Europea rimette l’Italia in riga come aveva fatto nel 2011 attraverso una serie di linee guida che inevitabilmente tracceranno le politiche economiche del nostro paese almeno fino al 2015-2017, a patto naturalmente che l’euro non venga meno nel corso dei prossimi due, tre anni.
Dal paper pubblicato dall’UE traiamo alcuni passaggi che illustrano con chiarezza cosa ci attende: ad esempio “attuazione piena delle riforme strutturali” e “incanalare il rapporto debito/PIL su un percorso discendente a partire dal 2014”, il che significa agire quanto prima sul costo (dal lato dei salari, naturalmente) del lavoro per aumentare la produttività: “Nel periodo 2011-2013 le parti sociali hanno concordato, in accordi successivi, un nuovo quadro per la determinazione dei salari, sostenuto da incentivi fiscali a promozione di un maggior allineamento dei salari alla produttività e alla situazione locale del mercato del lavoro” e tagliare la spesa corrente dal punto di vista degli investimenti e del mantenimento dei servizi; queste due mosse rappresentano l’unica possibilità di intervento del Governo per ridurre le sue uscite, a patto ovviamente che non si contempli un altro attacco speculativo (con un incremento delle spese per interessi) anche se questa manovra europea, di stampo ed effetto puramente politico, dovrebbe contenerne il rischio (Slovenia e Portogallo permettendo).

Si pone l’accento inoltre su un altro aspetto che avrebbe dovuto quantomeno limitare l’entusiasmo (o eurosiasmo) di Letta: “Permangono debolezze considerevoli nell’efficienza della pubblica amministrazione in termini di norme e procedure, qualità della governance e capacità amministrativa, con conseguenti ripercussioni sull’attuazione delle riforme e sul contesto in cui operano le imprese”.

A fronte di queste e altre indicazioni vengono alcune considerazioni: dal punto di vista del rispetto dei trattati sottoscritti le indicazioni dell’UE sono perfettamente in linea con il programma e rappresentano la strada giusta per insistere nella direzione del rigore, anche a costo di un prolungarsi della crisi (probabile, se osserviamo le stime OCSE) e del continuo frammentarsi della zona euro, smentendo e svelando le false promesse di allentamento dell’austerity sbandierata in questi giorni che ha portato a un’estensione dei tempi di rientro nei parametri di deficit/Pil solo ed esclusivamente ai paesi funzionali alla Germania (come Francia e Spagna).

La seconda riflessione, chiaramente, riguarda l’opportunità di arrivare quanto prima ad intavolare il dibattito per una soluzione a questo enorme problema che si chiama unione monetaria.
L’economia dell’Italia è al tappetto, salvo rare eccezioni, e continua a essere stritolata nella morsa di una moneta troppo forte e di vincoli troppo danneggianti (dal pareggio di bilancio al fiscal compact fino alla necessità di rifinanziarsi sui mercati non potendolo fare all'interno); a tal proposito sembra vengano meno le attese europee di acquisto titoli da parte del Giappone, l’entusiasmo dei mercati del vecchio continente verso l’Abenomics sembra scemato per la scarsa propensione alla diversificazione verso l’estero degli investitori nipponici, perlomeno fino ad oggi.

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