giovedì 23 maggio 2013

Un aggravarsi della crisi è dietro l'angolo?

Se guardiamo la situazione economica globale oggi, maggio 2012, non possiamo non accorgerci di alcuni fattori che ci indicano una nuova stagione di attacchi speculativi.
Da un lato ci sono due paesi in forte, fortissima crisi, il Portogallo e la Slovenia; dall’altro c’è una condizione di mercato sul versante dei tassi d’interesse (e salvataggi connessi della BCE) simile a quello del 2009 che precedette e covò i guai dell’estate 2011.

Il nesso fra queste due possibili cause risiede nel livello di esposizione finanziaria sull’estero e il differenziale sui rendimenti dei titoli di Stato dei due paesi in oggetto.
Oltre a questo possiamo aggiungere l’enorme liquidità immessa sul mercato dalle politiche espansionistiche di quantitive easing degli USA e del Giappone.

Di elementi potenzialmente scatenanti ce ne sono molti ma andiamo per ordine; la situazione del Portogallo è similare a quella dell’Italia del 2011 con le differenze strutturali date dalla diversa natura economica e sociale dei due paesi; si trova stretto nella morsa dell’austerity, con una pressione fiscale cresciuta, tra il 2010 e il 2011, dell’1,7% (dal 31,5% al 33,2%) e con un governo guidato da Pedro Passos Coelho che agisce nella direzione indicata dall’Europa, ovvero quella del contenimento dissennato della spesa pubblica (che la Troika chiama “spreco pubblico”, ben cosciente del diverso significato delle due definizioni); per avvicinare gli obiettivi che l’Europa chiede il Primo ministro dovrà effettuare tagli per sei miliardi di euro a fronte di un prodotto interno che scende progressivamente, traducendo questa richiesta in una interruzione di spesa per i servizi primari (sanità, scuola, le abituali voci..).
Oltre a questo il suo spread, nonostante si sia man mano ridotto da dieci mesi a oggi, resta comunque molto elevato, nell’ordine di quasi 390 punti base (maggiore di circa 100 rispetto a quello italiano).

L’altro paese che desta le attenzioni dei mercati e dell’Europa è la Slovenia, il paese dell’eurozona con il rendimento più alto sui titoli di Stato decennali. L’ultima collocazione, successiva al declassamento di Moody’s a “junk” (spazzatura), è stato un successo a detta del Governo di Lubiana ma a che prezzo? 4,75% sui titoli a cinque anni e addirittura 5,85% sui decennali, prestazioni che collegate a uno spread che ha raggiunto i 451 punti base non possono non far riflettere.
Il paese ha un debito pubblico basso, di poco superiore al 50% del PIL, ma presenta sofferenze bancarie altissime a causa primariamente di sciagurate valutazioni (forse subordinate a episodi di corruzione, ancora da verificare) nell’erogazione dei prestiti.
Il problema nasce dall’elevata concentrazione di banche pubbliche che sono proprietarie di circa il 40% dei prestiti bancari erogati (addirittura due banche pubbliche, la Nova Ljublijanska Banka e la Nova Kreditna Banka Maribor hanno prestato rispettivamente il 20% e il 15% della loro disponibilità a un solo soggetto!) e che ora sono in sofferenza anche a causa delle problematicità congiunturali. Naturalmente questo ha condotto a un aiuto da parte dello Stato e un gap fra domanda (negli ultimi anni, talvolta, eccessiva) e offerta di credito che non può più essere colmato. La ricetta imposta, ovviamente, è sempre la medesima, austerità e sacrificio (per il popolo) e Cipro Style: prelievo forzoso dell’1% su tutte le buste paga, tasse sui beni immobili (l’IMU in salsa slovena), aumento dell’IVA, privatizzazione selvaggia di compagnia aerea di bandiera, aeroporto di Lubiana, banche, taglio dei salari pubblici ed eventualmente altre tasse che spingeranno nuovamente in alto la pressione fiscale dopo un trend in diminuzione negli ultimi 6-7 anni.
Il tutto condito, come abbiamo visto, da un tasso sui titoli di Stato cospicuo che gonfierà il debito pubblico forzando come sempre le politiche economiche, nella miglior tradizione euro-austera, ad ulteriori tagli nei prossimi mesi.

Questo è il quadro dei due paesi europei maggiormente esposti al momento a un possibile default o quantomeno ad un altra cura stile Grecia (e Cipro).

Osserviamo ora la situazione di casa nostra.

Lo stimolo propulsivo che le due superpotenze hanno messo in atto per incrementare lo sviluppo ed accelerare la ripresa potrebbe ripercuotersi sul nostro bilancio; il timore per un possibile “euroexit” o default da parte dell’Italia sembra (purtroppo) tramontato ma a breve potrebbe ripresentarsi per due ragioni: da una parte la costante incertezza politica, sempre in bilico nonostante il nostro Primo Ministro si sia speso in un profluvio di belle parole pro-Europa o meglio pro-Euro, e dall’altra le elezioni in Germania di settembre che potrebbero condurre il paese principale a ridiscutere non solo la sua posizione nella moneta unica ma anche quella di tutti gli altri stati.
Ecco perché l’eventuale crisi portoghese e slovena sono strettamente legate a noi, un possibile peggioramento dei due paesi con conseguente azione della BCE in aiuto potrebbe spingere i creditori netti a ricercare maggiori garanzie dall’Italia che si tramuterebbero nella “tassa” a copertura del rischio uscita (e svalutazione) e quindi in interessi sul debito più alti; in sostanza ci troviamo in mezzo al fuoco incrociato Europa-USA-Giappone: se l’estero interrompe l’acquisto di titoli italiani (sudden stop) (sotto il 40% all’apice della crisi nel 2011) i bilanci si aggravano (con conseguente ridimensione al rialzo delle imposte a fronte di una produzione in costante calo) ma se gli stessi considerano la possibilità di un’uscita dell’Italia dall’euro richiederanno maggiori remunerazioni a fronte del rischio.

La situazione è intrecciata e molto complessa, il rischio che gli investitori esteri ci considerino “to-big-to-fail” è notevole ma non scontato, l’attuale calma apparente potrebbe essere solo il preludio ad un ennesimo attacco che potrebbe condurci su binari anche peggiori di quelli che percorriamo adesso.

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