martedì 24 settembre 2013

La manovra della manovra

L’apoteosi per le elezioni tedesche ha trovato il suo apogeo sui media italiani, relegando alle pagine secondarie le avvilenti vicende politiche nostrane. Il tutto manifesta, se mai avessimo avuto bisogno di conferma, quanto “germanocentrica” sia l’Europa e quanto noi italiani si voglia continuare a manifestare la nostra sottomissione nei confronti del paese egemone.

Mentre nel nostro cortile, piccolo piccolo, si continua a cercare qualche miliardo ad appannaggio di promesse elettorali fatte da chi non ha vinto (complice l’incapacità di governare di chi ha vinto), appare sempre più chiaro all’orizzonte il destino dell’Italia, abbracciata mortalmente da Europa+euro che stanno rapidamente scavando la fossa a 60 anni di talenti, imprese, istruzione, ricerca, stato sociale. 

Arriverà presto la necessità di dover far fronte a un rapporto deficit/PIL che (mi scusino i lettori, sicuramente informati) è sempre più sbilanciato verso il deficit, dopo che il PIL resta in caduta, con conseguente manovra correttiva della manovra correttiva della manovra correttiva.
Lo smarrimento è forte, l’IMU tolto senza copertura, un aumento dell’IVA che, oltre a deprimere ancora di più la domanda interna, non aiuta il gettito (statisticamente diminuito in concomitanza con gli ultimi due aumenti) e favorisce ancora di più l’evasione fiscale.

Possiamo discutere di tutto, del debito pubblico, della burocrazia, della casta, delle riforme strutturali, ma se la classe politica non prende seriamente in considerazione il fatto che questo paese sta per finire con le gambe all’aria, allora aspettiamoci il peggio, la Grecia (con tutte le differenze del caso) insegna. 

Infine un pensiero per Telecom, acquistata proprio oggi dalla spagnola Telefonica. Non si tratta solamente di un’altra azienda italiana che passa in mano straniera, siamo di fronte allo sconfortante ripiegare della bandiera Italia, una realtà delle telecomunicazioni per decenni al vertice dal punto di vista della struttura e dell’innovazione. Ce ne pentiremo amaramente quando l’euro verrà meno.

martedì 23 luglio 2013

Il filo rosso che unisce Detroit con Atene

Il default dichiarato dalla città di Detroit (18 miliardi di dollari) è l’ennesima figurazione dei danni provocati dalla finanza “deregolamentata” (correa la politica), la stessa che ha causato il crack 2007-2008 e che ha contribuito a smascherare la vera natura dell’euro e di questa Europa, mettendo in ginocchio l’economia europea.

La libertà di circolazione dei capitali, sotto forma di prestiti indiscriminati, ha spinto i paesi (o le città, come nel caso di Detroit) e i loro governanti a prostrarsi di fronte agli afflussi di denaro prima e merci poi, salvo poi dover rendere conto quando la situazione è diventata insostenibile.

Non si tratta di etica, i mercati operano anche in base ai vincoli imposti o, per contro, alle libertà di cui usufruiscono; il capitalismo si fonda sul debito, questo è universalmente accettato, ma quando diventa danno perché in se nutre il secondo fine (che può essere il mero profitto come il controllo di altri paesi) ecco che rivela il suo pericolo ed ecco che le istituzioni dovrebbero (devono) intervenire.

Non è accettabile che uno stato come la Grecia sia relegato a paese di terza fascia perché gli viene sollecitato di onorare un debito sconsiderato (colpa del debitore) offerto da un paese approfittatore (colpa del creditore).
I parametri dell’Unione Europea sono ormai insostenibili per la maggior parte dei paesi che hanno adottato la moneta unica, il rapporto deficit/PIL è in costante aumento perché l’economia non riparte e si soffocano investimenti e futuro nel nome di un meccanismo che ormai ha mostrato il suo lato oscuro e porterà solo a un ulteriore ampliamento dei danni; il primo passo da fare, per l’Italia e gli altri paesi periferici alla Germania, è quello di ridiscutere i trattati, rivedere le proprie posizioni, riavvicinarsi alla possibilità di riacquistare quella sovranità che è stata svenduta a poco prezzo, per qualche spicciolo di euro.

Il futuro dell’Europa e della sua stabilità sociale dipenderà solo ed esclusivamente dalla capacità che avranno i partiti di maggioranza nei vari stati di riportare il proprio paese al centro del dibattito, riportare l’Europa a una dimensione di collaborazione internazionale e scambio commerciale ma che rispetta l’identità e le Costituzioni dei suoi membri, e non le fa a pezzi ponendosi come faro guida ed entità sovranazionale per inseguire il sogno di profitto tedesco.

giovedì 18 luglio 2013

Introduzione di "L'euriasmo ci condannerà"

Pubblico l'introduzione ad un breve ebook in fase di ultimazione che dopo l'estate renderò disponibile sul mio blog e su Democrazia e Sovranità.

"Capire la natura di questa crisi economica, deflagrata nel 2007 ma covata da un decennio e tuttora presente, è di fondamentale importanza per interpretare correttamente le informazioni che ogni giorni ci pervengono, seppur con reticenza, dai mezzi di comunicazione. Capire la vera natura della moneta unica, l’euro, che tanti benefici doveva portare e che si è dimostrata, come ampiamente previsto, uno strumento di vantaggio dei forti (come la Germania) verso i deboli (Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Slovenia, Cipro) o verso i concorrenti temibili (Italia soprattutto ma anche Francia).

Dobbiamo soffermarci subito sul concetto politico dell’euro perché è questa la sua vera natura; la necessità di accrescere la propria economia, consumata da un decennio di spesa pubblica, ha portato la politica tedesca a essere detentrice del destino dell’Europa, aggregando nazioni diverse per economia, cultura, politiche sociali, contributive e delle pensioni, oltre che educative sotto la bandiera del “più Europa”, slogan molto in voga ancora oggi; il bisogno di paesi che si sentono “inferiori” di poter partecipare al gioco ha contribuito a spingere economie deboli ad agganciarsi ad una moneta troppo forte che se in una prima fase ha contribuito ad espandere (ma principalmente dal lato del debito privato, come vedremo) nella seconda parte ha portato, come nei più classici casi da ciclo di Frenkel, ad un collasso dell’economia del paese sotto il peso della sussistenza e strozzate dal meccanismo del finanziamento sui mercati, attraverso l’emissione di titoli di Stato, che ha comportato un aumento dei tassi d’interesse che in regime di cambio fisso non possono essere sostenuti quando l’economia si aggrava in seguito ad uno shock (la bolla finanziaria americana e il fallimento della più grande banca d’investimento, la Lehmann).

Il desiderio di non essere inferiori ma anzi protagonisti, intravedere il prestigio politico personale a scapito di una seria valutazione economica dei vantaggi o degli svantaggi (peraltro ben chiari fin da subito), la garanzia di benessere e prosperità: tutto questo ha contribuito ad accrescere la necessità dei principali partner europei della Germania di seguirla nel tunnel della moneta unica, commettendo una serie di errori che in questo momento, a fronte di una sicura frammentazione del progetto, potrebbero costare caro in termini elettorali (e lo scrivo ben conscio della capacità “doppiogiochista” dei nostri leader e la memoria sempre eccessivamente corta dell’elettore nostrano): in primo luogo il progetto non è stato spiegato ai cittadini in maniera equilibrata, non si sono evidenziati i problemi che si sarebbero venuti a creare di fronte a un’eventuale (e quanto mai concepibile) crisi economico-finanziaria, si sono voluti enfatizzare solo gli aspetti propagandistici del progetto euro tralasciando quelli concreti, e i perché di certe scelte/imposizioni (il cambio lira/euro, ad esempio, continua a essere tema di discussione, la maggior parte delle volte senza aver chiara la questione); in secondo luogo i trattati sono stati accettati senza batter ciglio, accogliendo le strane imposizioni dell’Europa (cioè della Germania) che tutt’ora si configurano come autentiche “spade di Damocle” sulla testa nostra e sul nostro futuro; non conoscendone appieno il contenuto non deve sorprendere sentir frotte di politici (principalmente di estrazione progressista) riferire che dall’euro non si può uscire, quindi irreversibile, ignorando volontariamente (auspichiamo) sia alcuni passaggi del trattato di Lisbona (complemento a quello di Maastricht) sia dei trattati internazionali di Vienna.

E’ ovvio, in un paese che ha dimostrato di avere una classe politica inefficiente e menzognera, che il percorso intrapreso per aderire a quest’unione monetaria per loro non si può troncare, perché smisuratamente si sono esposti e troppo si sono lasciati prendere a schiaffi sui palcoscenici internazionali, rappresentando un paese che non merita di essere trattato con scherno, che non ha mai avuto dei figuranti credibili e soprattutto autoritari (e non autorevoli, come l’ex Presidente Monti).

Ma l’euro non è solo strumento tedesco, esso rappresenta un’incredibile opportunità di guadagno per le grandi aziende che possono giocare al ribasso sui salari, avvallando questa manovra con la scusa della scarsa produttività, oppure per proteggere le banche da azzardi finanziari, riversando poi le perdite sui propri correntisti come nel caso del crack di Cipro."

Andrea Visconti

giovedì 11 luglio 2013

Italia stremata ed Europa in fiamme

Negli ultimi giorni si sono acuiti i segnali di un inequivocabile peggioramento economico e politico nella zona euro. I paesi maggiormente esposti al rischio speculazione hanno visto aggravare la propria posizione sia per l’incessante avanzata della crisi sia per una manifesta incapacità politica, condita da scandali e defezioni.

Le notizie che arrivano dall’Europa meridionale, come avevamo anticipato, ci raccontano l’assoluta instabilità dei governi, per scandali in procinto di esplodere (Spagna) o per esecutivi sull’orlo di una crisi di nervi (Portogallo e Grecia). La situazione è molto difficile in particolar modo nel paese ellenico, già formalmente fallito da tempo, che a fronte della richiesta di aiuti aggiuntivi si è vista sbattersi in faccia un elenco di ulteriori tagli e manovre atte a soddisfare i pruriti dell’austerità della Troika; stessa sorte per il Portogallo, con il tasso di interesse sui titoli di Stato cresciuto fino all’8%, e un governo che cerca disperatamente di trovare la forza per resistere, schiacciato da quella parte politica che, forse, si sta rendendo conto della macelleria che si è fatta negli ultimi anni.

L’Italia è stata retrocessa, come outlook, a BBB, ad un passo dalla spazzatura. Le ingerenze dei giorni scorsi in merito ai provvedimenti che il governo dovrebbe prendere hanno inevitabilmente pesato su questa decisione, visibilmente sospetta nel tempismo con cui è arrivata; il vincolo esterno, ancora una volta, domina un paese che avrebbe urgenza di ben altro (ad esempio una moneta “tagliata” sulla propria economia e una classe politica almeno dignitosa).

In Francia la situazione precipita speditamente, il Fronte Nazionale aumenta la sua popolarità e i potenziali elettori, la recessione che ha colpito il paese transalpino sta mettendo in serio pericolo la stabilità dell’euro e ne vedremo le conseguenze nei prossimi mesi. Il Presidente Hollande si trova con le spalle al muro, stretto tra la necessità di salvare l’apparenza nel finto asse franco-tedesco e la necessità di attendere l’esito delle elezioni in Germania di fine settembre per capire chi sarà l’interlocutore con cui trattare il futuro.

La necessità di una nuova manovra correttiva, per l’Italia, è uno spettro che giorno dopo giorno di materializza. La tenuta del debole governo è aggrappata a un filo sottile che potrebbe a breve spezzarsi se la condanna di Silvio Berlusconi divenisse definitiva. A quel punto il caos regnerebbe sovrano, ma la cosa potrebbe anche non essere negativa per noi, sotto molteplici aspetti. La situazione politica è fortemente orientata dalle decisioni del Presidente della Repubblica che a sua volta manifesta segni di affaticamento, forse si è reso conto di aver costruito un mostro a due teste che, sebbene abbiano comprovato di coesistere benissimo (e non da oggi), si è dimostrato ancora una volta incapace di affrontare i problemi reali e di discutere del vero e grande ostacolo alla ripresa, ovvero l’euro e i trattati europei che ci stanno distruggendo.

Le prospettive di crescita (0,5% nel 2014) sono talmente bizzarre e fraudolente che ormai nessuno ci crede più, tanto meno gli investitori che infatti monitorano costantemente l’evoluzione della crisi per approfittarne nel momento in cui la realtà (ovvero il precipitare del rapporto deficit/PIL) verrà a chiedere il conto.

La realtà è che con tale classe politica spaventa perfino l’eurexit. Non si tratta semplicemente di abbandonare una moneta per introdurne un’altra, si tratta di determinare una serie di accorgimenti per far si che il panico non furoreggi, che la società risenta il meno possibile dello shock, che l’inevitabile periodo transitivo che si porterà dietro la svalutazione della nuova moneta possa essere ammortizzato attraverso provvedimenti economici che ne favoriscano l’assunzione dei benefici e ne controllino gli effetti negativi.

Tutto questo a chi lo affidereste? Io un nome non sono in grado di farlo.

lunedì 8 luglio 2013

L'euro-imbroglio e la necessità di riavere i propri diritti

Il fallimento dell'euro è ormai cosa assodata.
Da qualsiasi parte si osservi non si può fare a meno di constarne il declino, inesorabilmente accentuato dallo shock finanziario che ne ha smascherati i lati oscuri. L'ingresso in quest’unione doveva portare stabilità, concorrenza e permettere allo Stato di approfittarne in termini di riduzione dal lato della spesa per interessi e di un'unione a livello di ordinamento (economica, bancaria, sociale) che sono i capisaldi affinché un'unica moneta possa esistere e prosperare.

Bene, tutto questo non c'è stato e mai ci sarà.

Il cosiddetto "dividendo dell'euro" non solo non è stato raccolto ma si è rivelato ben altra cosa, portando sul lastrico le economie che non potevano sopravvivere a un cambio rigido, che mal si sposava con le diverse realtà economiche dei singoli Stati. Il dramma che stiamo vivendo assomiglia a un’enorme suggestione, un regno delle promesse non mantenibili, un grosso limbo dove si arranca per cercare una soluzione che non esiste.
Se si analizza la condizione di alcuni paesi, quelli maggiormente colpiti dalla recessione, che appartengono alla fascia mediterranea dell'Europa ci si accorge di come la favola del centro che corteggia la periferia sia una tragica storia d'amore che uccide le economie deboli a scapito di quelle egemoni. Il meccanismo che si cela dietro all'euro è politico prima di tutto, e per questo motivo si rivela nocivo per i popoli ma molto redditizio per il potere e le lobby ad esso connesse; il tentativo di ricostruire economicamente il paese che più aveva pagato in termini politici (la Germania dopo l'annessione della parte orientale) ha finito per disintegrare il tessuto economico (e a brevissimo anche quello sociale) di coloro che si sono tuffati in questa avventura dagli esiti scontati con tanto entusiasmo, sia per convenienza che per prestigio.

Ma sarebbe riduttivo addossare tutte le colpe ai governi tedeschi perché questa è una crisi che nasce da lontano, dalla fine degli anni 70, quando le classi dirigenti hanno iniziato a farsi ammaliare dal potere e dal denaro generato dalla finanza, spingendo le economie mondiali verso un tragitto di deregolamentazione dei mercati e la libera circolazione dei capitali. Queste politiche hanno portato nel giro di pochi anni alla creazione di quel sistema che oggi dobbiamo continuare a finanziare e del quale pagheremo per chissà quanto tempo le conseguenze.
La classe dirigente italiana, poi, non si è mai sottratta all'influenza esterna, storicamente documentata da una serie impressionante di scelte che ci hanno resi schiavi di qualcuno, incessantemente.
La separazione (divorzio) fra la Banca d'Italia e il Ministero del Tesoro ne è un esempio classico. La decisione di svincolare il finanziamento delle attività dello Stato si è rivelata il punto più alto di una scellerata inclinazione a considerare i mercati più importanti dei propri cittadini, facendo lievitare il debito pubblico dal lato della spesa per interessi; i grafici lo dimostrano, l'esplosione del nostro debito pubblico è avvenuta in concomitanza con questa decisione tanto cara all'allora Governatore di Bankitalia Carlo Azelio Ciampi, uno dei "padri nobili" dell'euro, con buona pace dei socialisti e dello Stato sprecone e improduttivo.

Non ci si può più nascondere dietro alla necessità di riforme strutturali, che nessuno nega siano necessarie, ma non possono essere soggette a vincoli esterni, non devono essere imposte da organizzazioni europee o internazionali che agiscono in base a logiche puramente legate agli interessi di pochi a scapito di molti. Il Fondo Monetario Internazionale, che da poco ha ammesso l'inefficacia e gli errori commessi nella "cura" alla Grecia, vorrebbe entrare nel merito dei provvedimenti del nostro Governo, imporre la politica economica e sociale, dettare l'agenda ai nostri amministratori, come se già da soli non fossero capaci di macroscopici errori.

L'ostinazione nel considerare necessario questo vincolo sta portando l'Italia verso la fine di un baratro dove ad aspettarla c'è un altro baratro, ancora più profondo.

Riacquistare la sovranità monetaria e decisionale è fondamentale non solo per noi ma anche per gli altri paesi ridotti in stracci dal desiderio egemone tedesco e dall’assurda convinzione di poter trarre una qualche forma di profitto da questa Europa.

L'euro ha fallito sotto tutti gli aspetti, ha condotto i paesi deboli a indebitare i propri popoli per poi indebitarsi lui stesso, in una spirale recessiva senza precedenti; il meccanismo di aiuti della BCE (OMT) non è mai entrato in funzione perché i vincoli che impone sono insostenibili, economie debilitate e sull'orlo del collasso non possono permettersi le direttive europee salvo poi pagarle a caro prezzo.

La politica è l'arte del possibile, il punto di non ritorno si avrà nel momento in cui i governanti si renderanno conto che consumare la menzogna sarà più pericoloso che ammettere la sconfitta.
La condizione di un paese importante come la Francia è critica, e peggiora di mese in mese; la speranza che il forte nazionalismo transalpino possa salvare l'Europa è concreta, ma se non saranno loro a far collassare il diabolico meccanismo sarà un altro paese, uno dei tanti che procede spediti verso il loro crollo.

venerdì 5 luglio 2013

I pregi di una corretta disinformazione

La politica italiana e i media procedono il loro cammino tenendosi per mano, nel tentativo di continuare l’oscuramento della verità sull’euro e sull’evidente situazione nel nostro paese e in quelli che come noi patiscono, principalmente a causa di una moneta troppo forte rispetto alle reali necessità economiche.

Lo schieramento che ogni giorno osserviamo (in TV) e leggiamo (sui quotidiani) risponde alle direttive di quello che viene finemente definito PUDE (Partito Unico Dell’Euro), acronimo coniato dal Prof. Alberto Bagnai che rappresenta benissimo la determinazione di coprire le magagne della moneta unica, oggi con il debito pubblico, domani con la Casta e dopodomani con il “più Europa”.

Nessuno si salva da questa nenia pro-euro, nemmeno il MS5 nel quale qualcuno aveva riposto speranze, non tanto nelle azioni quanto nel dibattito; invece nelle ultime settimane ci siamo dovuti affidare ad alcune dichiarazioni di Silvio Berlusconi, prontamente smentite da lui stesso come nella migliore tradizione (sondaggistica, si intende). Il Partito Democratico vede la sua rappresentanza più alta nel Presidente del Consiglio Enrico Letta, il quale non fa passar giorno senza qualche dichiarazione entusiastica che mal si sposa con la realtà di un paese in ginocchio.
Naturalmente molte sono le cause che hanno portato al PUDE, il difendere una colossale menzogna sull’euro, l’incapacità (atavica) di far valere i diritti dell’Italia, l’opportunità elettorale, la distanza delle istituzioni dal paese reale e molto altro.

Chi segue il dibattito (più che mai acceso) sul Web 2.0 si rende ben presto conto della situazione, capisce a quale gioco le super-potenze dell’euro (Germania) stanno giocando per tenerci inchiodati in questo miserabile limbo per poterne approfittare, s’interroga e fa domande, si confronta e si mobilita. Ma al di fuori di questo c’è davvero poco o nulla.
Voci e professionalità autorevoli, come il citato Bagnai ma anche Borghi o Rinaldi, vengono relegati in spazi conditi da folte rappresentanze del PUDE e cercano di non sovraesporsi (per scelta o per imposizione), alla ricerca di uno spazio serio dove dibattere di un tema cruciale come quello della sovranità monetaria.

Il dovere di chi partecipa alla discussione sui social network è quello di informare più persone possibili, di divulgare ove possibile la vera verità anche al di fuori della rete.

Poi, naturalmente, chi vorrà sapere saprà ma almeno potremo dire di averci provato.

Andrea Visconti

giovedì 4 luglio 2013

Autunno caldo, euro agli sgoccioli?

Come previsto in un post di qualche settimana fa la crisi sta portando alla deriva un numero sempre più ampio di paesi, principalmente nell’Europa meridionale.
Gli scenari politico-economici di Grecia e Portogallo (tanto per menzionare i due casi alla ribalta in questi giorni) prefigurano un’altra estate calda sui mercati finanziari.

In Portogallo si dimette il ministro delle finanze in aperta opposizione alle politiche di austerity, derivanti dalla necessità di sottostare ai dettami di BCE, FMI e UE dopo la concessione di un prestito da 78 miliardi nel 2012. L’instabilità politica, chiaramente, ha agitato i mercati che hanno portato i rendimenti sui BOT decennali oltre l’8%. La disoccupazione è al 17,5% e gli interventi nel campo sociale ed economico stanno mettendo in ginocchio il paese.

In Grecia la situazione è ancora più grave: l’ultimatum della Troika impone di fornire in brevissimo tempo le garanzie necessarie per accedere a una nuova parte di aiuti (8,1 miliardi) previsti per agosto; queste garanzie esigono ancora una volta tagli, sacrifici, dismissioni.
Il Governo di Atene dovrà accelerare sulla riforma del lavoro, strutturato su base “tedesca” (minijob) con norme che introducano una bassa retribuzione per ridurre la disoccupazione, offrendo a chi assume la possibilità di negoziare una retribuzione massima di 350 euro/mese. Oltre a questo si staglia all’orizzonte il timore di un crack scatenato dal consistente quantitativo di titoli di Stato presenti nell’istituto nazionale di previdenza e di mutuo soccorso. Questo porta a situazioni insensate, come ad esempio il pagamento della prima mensilità della pensione a un anno dal termine del periodo lavorativo. E se vogliamo aumentare l’inquietudine, possiamo ricordare che il Fondo Monetario Internazionale pochi mesi fa ha fatto pubblica ammenda, svelando come gli interventi in Grecia siano stati sbagliati e dannosi.
George Soros ha dichiarato che la Grecia non potrà mai più riprendersi, specialmente in questa situazione “euro-centrica”. E le ultime richieste lo confermano.

La situazione è destabilizzata, in Francia il movimento anti-euro comincia a nutrirsi sempre di più, la sfiducia in merito alle politiche del Presidente Hollande è sempre più forte, da questo paese potrebbe arrivare quello stimolo che porterà a una ridiscussione dei trattati prima, e allo scioglimento dell’unità monetaria poi.

In Italia, volendo sollevare per poche righe il velo pietoso che ricopre la nostra classe politica, ci si divide fra l’ennesima dimostrazione di “euriasmo” di Enrico Letta, premier con delega agli entusiasmi europei, e le parole dei ministri Saccomanni [Economia ] (si vede la luce in fondo al tunnel) e Zanonato [Sviluppo economico] (siamo al punto di non ritorno).

Ogni commento è puramente superfluo.